Interventi

La guerra agli ecomostri si fa anche con il fumetto

Un lungo viaggio nella speculazione edilizia italiana: quando è nata, in cosa consiste, quante costruzioni abusive ci sono oggi in Italia e in che modo possiamo riconvertire i nostri territori. Il fumetto di Tamassociati (Raul Pantaleo, Marta Gerardi e Luca Molinari) “Terre perse. Viaggio nell’Italia del dissesto e della speranza” (BeccoGiallo, 16 euro) parte da “Le mani sulla città” di Francesco Rosi per indagare su quello che è successo in Italia negli ultimi anni, fino all’alluvione in Liguria del 2014 (altro…)

#IoSoCarmela, dopo l’udienza del 21 giugno…

“I miracoli a volte accadono” mi dice Alfonso. È combattivo, mai fermo. Lo sento dopo che è rientrato dall’ennesima udienza del processo ai tre maggiorenni che hanno abusato di Carmela, a sei anni dal suo suicidio, il 15 aprile 2007, impresso nella nostra mente, lame ancora calde.

Ascoltati altri testimoni. Nomi, fatti, azioni. Lette le pagine del diario di Carmela, già ammesso agli atti sei anni fa ma solo ora assorbito con la considerazione che merita la confessione di chi è morta dentro, sopravvive nel fisico ma, sotto la pelle di un’adolescente che amava e voleva essere amata, sotto la pelle è cava.

La prossima udienza sarà il 12 luglio cui seguirà quella finale, forse subito prima della chiusura del tribunale per l’estate (la giustizia non fosse in ferie già tutto l’anno), forse subito dopo, a settembre.
Quando, forse… sempre forse… ancora forse… i colpevoli verranno condannati.

Contemporaneamente comincerà un nuovo processo, agli altri responsabili della morte di Carmela. Un processo che parte dall’esposto fatto sei anni prima dalla famiglia Cirella contro i Servizi Sociali, contro il Centro di Lecce, contro il Tribunale dei Minori di Taranto che ha avvallato la gestione del caso di Carmela e che ha cercato di farla passare per pazza per coprire gli errori commessi, che l’ha rinchiusa, strappata a mamma e papà, imbottita di psicofarmaci, che non l’hanno creduta.

Burocrazia, errori clamorosi, fatti celati, indifferenza che si intreccia con gli abusi. “L’esposto languisce da sei anni sulla scrivania del pm Mariano Buccoliero – racconta Alfonso – forse troppo impegnato con il processo Scazzi per dedicarsi con lo steso impegno a quello per Carmela. Ma, ora che è finito, spero che qualcosa cambi. Spero che mia figlia abbia giustizia. Lo spero. I miracoli a volte accadono.”

Parla di miracolo, Alfonso. Ancora di miracolo. Miracolo che un processo lungo più di sei anni e dal sapore amaro giunga alla fine. Miracolo che chi ha abusato di sua figlia venga condannato. Miracolo che ciò che dovrebbe essere la norma abbia i contorni dell’eccezionalità. E mi chiedo quando sia stato possibile il passaggio da quello che dovrebbe essere uno Stato di diritto a uno Stato del miracolo. È un miracolo che il colpevole venga catturato. Un miracolo che venga fatta giustizia. Una questione di fatalità più che di capacità. Di destino più che di scelta.

La scelta che ognuno di noi fa per dare una scarica all’immobilità, la scelta di dire NO. Un miracolo questo, sì.

Un miracolo umano.

 

Alessia Di Giovanni, sceneggiatrice di Io so’ Carmela

#IoSoCarmela, le parole di un padre che lotta

Una morte assurda senza colpevoli
di Alfonso Frassanito, padre di Carmela Cirella. Prefazione a “Io so’ carmela“

Sono passati sei interminabili anni dall’assurda morte di Carmela. Una bambina come tante, che però resterà tale per sempre. In tutti questi anni ho sempre continuato a combattere: nei Tribunali per ottenere la giustizia che merita, tra la gente per sensibilizzare e dare un senso al suo sacrificio, e soprattutto tra le vittime di simili orrori e tra le loro famiglie.

Ho indirizzato varie inascoltate “lettere aperte” ai nostri rappresentanti al governo e alle istituzioni, lettere che inviavo sempre e solo in occasione di udienze imminenti o comunque quando aveva più senso puntare i riflettori su un’ingiustizia così colossale, tutta italiana, come quella che ha colpito la piccola Carmela e tutti noi della famiglia.
Puntualmente, queste mie esternazioni hanno suscitato reazioni di indignazione nell’opinione pubblica, nei media, e sui nuovi mezzi di comunicazione di cui oggi disponiamo.

Purtroppo però gli anni continuano a passare e nulla accade. Carmela continua a non avere pace, noi con lei, mentre tutti i responsabili della sua morte continuano a vivere normalmente la propria vita come se mai nulla di male avessero fatto.

Oggi vorrei esternare i miei pensieri a tutti coloro che leggeranno questo fumetto. Vorrei che il mio messaggio arrivasse ai più giovani, a coloro nei quali riponiamo le nostre speranze per il futuro. Il mio sforzo maggiore, in queste battaglie che conduco ormai da anni, è proprio rivolto a loro, perché credo fermamente che sia proprio su di loro che bisogna investire per sperare che davvero cambi qualcosa in questo sistema corrotto e obsoleto. Sugli adulti bisogna intervenire solo ed esclusivamente per provare a limitare i danni.

Vorrei che la lettura di questa storia avvenisse in modo profondo, che si facesse caso e si riflettesse su ogni singola vignetta, su ogni singolo dialogo affinché si possano cogliere gli aspetti davvero più importanti, che possono servire a prendere coscienza di una realtà che potrebbe purtroppo toccare ognuno di noi, nessuno escluso. Per trovare così la forza e il coraggio di dire basta a queste atrocità tutti insieme, con un unico obiettivo comune, che è quello della tutela del bene più prezioso per l’intera umanità: i bambini.

Vorrei che mia figlia Carmela non venga ricordata come una martire, come una vittima, ma al contrario possa diventare il simbolo della ribellione contro questi fenomeni che sono indegni di una umanità che si definisce civile e rispettosa dei diritti umani.

Su mia figlia ho scritto un libro che racconta e denuncia quanto è accaduto. Le sono state dedicate poesie, le è stata dedicata una canzone che la ricorda e la descrive come una bambina dolce diventata regina, alcuni adolescenti si sono ispirati alla sua storia per realizzare e dedicarle un film che serva a smuovere le coscienze, e ora le viene dedicato questo fumetto.

Tutto questo mi rende da un lato orgoglioso di essere il padre di Carmela, e soprattutto, indipendentemente dai risultati che otterrò nelle aule dei tribunali, la vera vittoria personale è il fatto che grazie a mia figlia ho trovato il coraggio per battermi contro queste orribili storie, la forza per non sentirmi mai complice con la mia indifferenza, e soprattutto il desiderio di affrontare sempre a viso aperto e combattere contro chi violi i diritti, la dignità e l’innocenza di ogni bambino nel mondo.

Vorrei che tutte queste iniziative, che si sono ispirate a Carmela per puntare i riflettori e sensibilizzare, potessero dare a tutti quel coraggio che manca per non far più finta che tutto ciò possa accadere solo nei film, nei romanzi, nelle canzoni e nei fumetti. Accadono nella realtà, e il guaio è che nessuno di noi ne è immune.

Un abbraccio a tutte le Carmele di questo mondo, da parte mia e del mio piccolo grande Angelo.

Ilaria Alpi, il ricordo di Giovanna Botteri

Una verità acqua e sapone
di Giovanna Botteri, prefazione a “Ilaria Alpi, il prezzo della verità“

Non so che reazione avrebbe avuto Ilaria, sapendo di essere diventata l’eroina di un fumetto. Probabilmente avrebbe riso, sicuramente avrebbe pensato a uno scherzo. Avrei dovuto convincerla, spiegarle che avevano chiesto a me addirittura l’introduzione. E so che mi avrebbe fatto due domande: perché hanno scelto me? Perché hanno scelto te?

Non posso non pensarci, sempre. Hanno scelto te, Ilaria, perché qualcuno ha voluto ammazzarti, quel giorno a Mogadiscio, insieme a Miran. Perché hanno nascosto chi è stato, chi ha deciso e ordinato l’agguato, perché continuano a farlo. E perché tua madre non ha mai smesso di battersi, come una leonessa, perché si continuasse a investigare. Ha dovuto seppellire te, ma si è rifiutata di seppellire la verità. L’ammiravi così tanto, bella, elegante, magra, e saresti veramente stata orgogliosa nel vederla sfidare tutti, senza paura di nessuno. E tuo padre al suo fianco, sempre. Perché tante cose sono cambiate: la televisione, l’immagine delle giornaliste, il mondo dei media, e tu sei rimasta un riferimento importante per chi crede ancora nell’informazione come ricerca della verità, come reportage per spiegare e far capire altri mondi, altre culture,
come missione, studio, lavoro, impegno, passione. Lontano dai tacchi a spillo, dall’ossessione dell’apparire, dai salotti di potere.

Come non pensarti, in Somalia come a Saxa, in Marocco o a Sacrofano, sempre acqua e sapone, le scarpe basse, i pantaloni comodi con le tasche piene di note e indirizzi. Avresti dovuto nasconderci anche gli ultimi appunti. Ma non potevi saperlo. Perché ho visto una foto della Fallaci da giovane, in Africa. Seduta a terra, con una camicia larga strapazzata, e i capelli raccolti in due trecce.

Era uguale a te. Ma nessuno voleva ammetterlo, come se fosse una bestemmia. Senza sapere che lei è stata un po’ il nostro mito, da ragazzine, quando – unica donna – seguiva le guerre e i conflitti, si metteva l’elmetto e saliva sugli elicotteri. C’era solo lei. E poco importa se alla fine abbia tradito quella giovane donna che era stata.

Tu hai seguito i tuoi sogni, senza tradire te stessa. E mi piace ritrovarti in tante foto, diverse. Pensare a cosa avresti detto, fatto o scritto. Per non tradire mai se stessi.

E se mi chiedi, adesso, perché abbiano scelto me, per fare l’introduzione, la risposta è facile: ero la tua compagna di banco al Tg3. Voglio continuare a esserlo.

Le note dell’autore di “Paolo Borsellino, l’agenda rossa”

Verità, ipotesi, invenzioni. A distanza di vent’anni dalla strage di via D’Amelio, la verità giudiziaria sui mandanti occulti dell’eccidio è ancora tutta in discussione. È storia recente che il processo sull’uccisione di Borsellino e degli uomini della sua scorta ha subito un massiccio depistaggio ed è quindi da rifare.
In un quadro ancora indefinito c’è un’ipotesi che si accredita con più forza delle altre: Borsellino è stato ucciso perché era venuto a conoscenza della trattativa fra Stato e mafia, e vi si opponeva. Naturalmente in delitti di una certa portata non esiste mai un solo movente, e neanche un solo colpevole.

Nell’affrontare questo fumetto sugli ultimi due mesi di vita di Borsellino, prima di cominciare a scrivere, ho cercato a lungo di farmi un’idea su quanto è successo tra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio. A tale scopo, oltre a consultare la letteratura in materia, ho voluto incontrare alcuni tra amici, conoscenti, colleghi, parenti del giudice.
Nel mio sopralluogo di sceneggiatura a Palermo l’ultima persona con cui ho parlato è stato il giudice Teresi. La riflessione con la quale mi ha salutato il magistrato collega di Borsellino ha in qualche modo guidato il mio racconto. In risposta alle mie infinite domande sui mandanti della strage, Vittorio Teresi ha provato a spiegarmi che non è importante stabilire se il comando sia arrivato a Cosa Nostra da uomini dello Stato, dei servizi segreti o delle forze dell’ordine.

Non è rilevante se questa comunicazione sia avvenuta o meno. Ciò che bisogna chiedersi è chi aveva interesse a uccidere Borsellino. I vertici di Cosa Nostra non avevano bisogno di ricevere ordini. Era sufficiente la consapevolezza del consenso rispetto all’azione. Allargando questa riflessione a un perimetro più largo sentirei di dire che le colpe della morte di Borsellino vanno distribuite collettivamente tra chi aveva significativi interessi nella sua eliminazione e chi provava semplicemente insofferenza. A favorire la mafia sono le convergenze di interessi di una fetta del Paese troppo larga per individuare una manciata di capri espiatori.

A partire da questa convinzione ho immaginato di rappresentare Borsellino come un uomo isolato, circondato ovunque da zone grigie di rapporti tra le istituzioni e la mafia. Ho sposato l’ipotesi della trattativa come causa fondante della strage, ma ho suggerito che anche nella Procura e in Polizia c’erano comportamenti oscuri.

[…]

Nelle ultime settimane di vita Borsellino teneva due agende: su di una, quella grigia, annotava gli appuntamenti, mentre sull’altra, l’agenda rossa, scriveva tutto il resto. Borsellino non amava i diari. Prima di quel giugno del 1992 non aveva mai sentito l’esigenza di mettere nero su bianco né accadimenti né riflessioni.
La strage di Capaci però cambia ogni cosa. “Per me è finito il momento di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere, e qua dentro ce n’è anche per lei.” Così risponde Borsellino al maresciallo Canale che lo vede prendere appunti all’alba in un hotel di Salerno.

Giacomo Bendotti

Prosegue nel libro “Paolo Borsellino, l’agenda rossa“, in uscita l’11 luglio.