Libri

Le prossime uscite #BeccoGiallo

Tante le uscite e altrettante le tematiche che andremo a toccare in questi ultimi mesi dell’anno. Le abbiamo raccolte in questo calendario, in costante aggiornamento:

OTTOBRE
– Enrico Berlinguer (Elettra Stamboulis, Gianluca Costantini) 31/10 [Novità Lucca Comics & Games 2013]

NOVEMBRE
– Tiziano Terzani (Silvia Rocchi) 7/11 [Novità Lucca Comics & Games 2013]
– Pop Economix (Davide Pascutti) 21/11
– Snapshots of a girl (Beldan Sezen)

2014
– Piccolo atlante storico e geografico dei centri sociali italiani (Claudio Calia)

Intervista inedita a Pietro Orlandi, a 30 anni dalla scomparsa di Emanuela

Pietro Orlandi è il fratello di Emanuela, scomparsa senza un perché, o con troppi perché, il 22 giugno 1983. Da quel giorno lotta per la verità tra silenzi, depistaggi e indifferenza. Alex Boschetti l’ha intervistato per chiudere il racconto a fumetti di quella vicenda con la sua testimonianza, andando a esplorarne tutti gli aspetti. Ne riportiamo qualche stralcio significativo:

Di fatto [a Papa Ratzinger] è stato impedito [di parlare del caso], ma questo certo non giustifica il suo comportamento.
Nel 2008 a 25 anni dal rapimento gli fu chiesto di ricordare Emanuela con una preghiera durante l’Angelus. Il Papa allargò le braccia e disse “devo chiedere”, e naturalmente durante l’Angelus non disse nulla. Di recente in occasione delle due manifestazioni a San Pietro, aspettavamo una sua parola ma dalla Segreteria di Stato lo sconsigliarono di fare accenno al caso proprio perché io parlavo di omertà del Vaticano (il documento della Segreteria di Stato è riportato nel libro di Nuzzi).
Ratzinger ai tempi del rapimento era uno stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, si intrattenevano spesso a cena insieme, dubito che non abbiano mai parlato di questa vicenda e io sono convinto che Wojtyla fosse a conoscenza di quanto accaduto ad Emanuela.

Se il Vaticano ha assunto un certo tipo di atteggiamento per trent’anni cercando di far dimenticare questa vicenda è perché evidentemente la verità è così pesante per la Santa Sede che preferiscono subire le critiche dell’opinione pubblica piuttosto che impegnarsi per fare emergere la verità. Emanuela purtroppo è un tassello di un sistema di ricatti che coinvolge persone interne ed esterne al Vaticano. Io non conosco i responsabili del sequestro, ma sicuramente chi ha occultato e continua ad occultare la verità sulla scomparsa di Emanuela.
È un “sistema” che coinvolge Stato, Chiesa, Mafie e Massoneria e sicuramente la sepoltura di De Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare è un esempio eclatante di questo legame. Sepoltura mai chiarita né da parte dello Stato vaticano né di quello italiano. C’è un filo che lega la morte di Papa Luciani, l’attentato a Giovanni Paolo II, la morte di Calvi e la scomparsa di Emanuela.
L’omertà del Vaticano è sempre stata sostenuta nel tempo da uno Stato italiano sempre più succube del potere della Chiesa. Non ho mai incontrato nessuno, in Italia, a cominciare dai politici, dalla destra alla sinistra, disposto a dire e fare cose che possano mettere in difficoltà i propri rapporti con la Santa Sede, perché, alla fine, il Vaticano fa comodo a tutti e tutti fanno comodo al Vaticano.

Secondo me, se la Banda della Magliana e in particolare De Pedis hanno avuto un ruolo in questa vicenda, è stato un ruolo di manovalanza. Sicuramente i mandanti sono altri. Credo che ad un certo punto si volesse chiudere con una verità parziale: Emanuela morta in una betoniera e unici responsabili, entrambi morti, De Pedis e Mons. Marcinkus. In questo modo si proteggeva chi doveva essere salvato e che probabilmente occupa ancora oggi posti di rilevanza all’interno di istituzioni vaticane e non solo.
Se si fosse trattato, come qualcuno asserisce, di una questione semplicemente economica tra Banda della Magliana e Vaticano, io credo sarebbe stata già chiusa da tempo e sicuramente il Vaticano sarebbe riuscito a scrollarsi dalle spalle questo peso che li costringe ad un atteggiamento ambiguo da 30 anni.

#IoSoCarmela, le parole di un padre che lotta

Una morte assurda senza colpevoli
di Alfonso Frassanito, padre di Carmela Cirella. Prefazione a “Io so’ carmela“

Sono passati sei interminabili anni dall’assurda morte di Carmela. Una bambina come tante, che però resterà tale per sempre. In tutti questi anni ho sempre continuato a combattere: nei Tribunali per ottenere la giustizia che merita, tra la gente per sensibilizzare e dare un senso al suo sacrificio, e soprattutto tra le vittime di simili orrori e tra le loro famiglie.

Ho indirizzato varie inascoltate “lettere aperte” ai nostri rappresentanti al governo e alle istituzioni, lettere che inviavo sempre e solo in occasione di udienze imminenti o comunque quando aveva più senso puntare i riflettori su un’ingiustizia così colossale, tutta italiana, come quella che ha colpito la piccola Carmela e tutti noi della famiglia.
Puntualmente, queste mie esternazioni hanno suscitato reazioni di indignazione nell’opinione pubblica, nei media, e sui nuovi mezzi di comunicazione di cui oggi disponiamo.

Purtroppo però gli anni continuano a passare e nulla accade. Carmela continua a non avere pace, noi con lei, mentre tutti i responsabili della sua morte continuano a vivere normalmente la propria vita come se mai nulla di male avessero fatto.

Oggi vorrei esternare i miei pensieri a tutti coloro che leggeranno questo fumetto. Vorrei che il mio messaggio arrivasse ai più giovani, a coloro nei quali riponiamo le nostre speranze per il futuro. Il mio sforzo maggiore, in queste battaglie che conduco ormai da anni, è proprio rivolto a loro, perché credo fermamente che sia proprio su di loro che bisogna investire per sperare che davvero cambi qualcosa in questo sistema corrotto e obsoleto. Sugli adulti bisogna intervenire solo ed esclusivamente per provare a limitare i danni.

Vorrei che la lettura di questa storia avvenisse in modo profondo, che si facesse caso e si riflettesse su ogni singola vignetta, su ogni singolo dialogo affinché si possano cogliere gli aspetti davvero più importanti, che possono servire a prendere coscienza di una realtà che potrebbe purtroppo toccare ognuno di noi, nessuno escluso. Per trovare così la forza e il coraggio di dire basta a queste atrocità tutti insieme, con un unico obiettivo comune, che è quello della tutela del bene più prezioso per l’intera umanità: i bambini.

Vorrei che mia figlia Carmela non venga ricordata come una martire, come una vittima, ma al contrario possa diventare il simbolo della ribellione contro questi fenomeni che sono indegni di una umanità che si definisce civile e rispettosa dei diritti umani.

Su mia figlia ho scritto un libro che racconta e denuncia quanto è accaduto. Le sono state dedicate poesie, le è stata dedicata una canzone che la ricorda e la descrive come una bambina dolce diventata regina, alcuni adolescenti si sono ispirati alla sua storia per realizzare e dedicarle un film che serva a smuovere le coscienze, e ora le viene dedicato questo fumetto.

Tutto questo mi rende da un lato orgoglioso di essere il padre di Carmela, e soprattutto, indipendentemente dai risultati che otterrò nelle aule dei tribunali, la vera vittoria personale è il fatto che grazie a mia figlia ho trovato il coraggio per battermi contro queste orribili storie, la forza per non sentirmi mai complice con la mia indifferenza, e soprattutto il desiderio di affrontare sempre a viso aperto e combattere contro chi violi i diritti, la dignità e l’innocenza di ogni bambino nel mondo.

Vorrei che tutte queste iniziative, che si sono ispirate a Carmela per puntare i riflettori e sensibilizzare, potessero dare a tutti quel coraggio che manca per non far più finta che tutto ciò possa accadere solo nei film, nei romanzi, nelle canzoni e nei fumetti. Accadono nella realtà, e il guaio è che nessuno di noi ne è immune.

Un abbraccio a tutte le Carmele di questo mondo, da parte mia e del mio piccolo grande Angelo.

Ilaria Alpi, il ricordo di Giovanna Botteri

Una verità acqua e sapone
di Giovanna Botteri, prefazione a “Ilaria Alpi, il prezzo della verità“

Non so che reazione avrebbe avuto Ilaria, sapendo di essere diventata l’eroina di un fumetto. Probabilmente avrebbe riso, sicuramente avrebbe pensato a uno scherzo. Avrei dovuto convincerla, spiegarle che avevano chiesto a me addirittura l’introduzione. E so che mi avrebbe fatto due domande: perché hanno scelto me? Perché hanno scelto te?

Non posso non pensarci, sempre. Hanno scelto te, Ilaria, perché qualcuno ha voluto ammazzarti, quel giorno a Mogadiscio, insieme a Miran. Perché hanno nascosto chi è stato, chi ha deciso e ordinato l’agguato, perché continuano a farlo. E perché tua madre non ha mai smesso di battersi, come una leonessa, perché si continuasse a investigare. Ha dovuto seppellire te, ma si è rifiutata di seppellire la verità. L’ammiravi così tanto, bella, elegante, magra, e saresti veramente stata orgogliosa nel vederla sfidare tutti, senza paura di nessuno. E tuo padre al suo fianco, sempre. Perché tante cose sono cambiate: la televisione, l’immagine delle giornaliste, il mondo dei media, e tu sei rimasta un riferimento importante per chi crede ancora nell’informazione come ricerca della verità, come reportage per spiegare e far capire altri mondi, altre culture,
come missione, studio, lavoro, impegno, passione. Lontano dai tacchi a spillo, dall’ossessione dell’apparire, dai salotti di potere.

Come non pensarti, in Somalia come a Saxa, in Marocco o a Sacrofano, sempre acqua e sapone, le scarpe basse, i pantaloni comodi con le tasche piene di note e indirizzi. Avresti dovuto nasconderci anche gli ultimi appunti. Ma non potevi saperlo. Perché ho visto una foto della Fallaci da giovane, in Africa. Seduta a terra, con una camicia larga strapazzata, e i capelli raccolti in due trecce.

Era uguale a te. Ma nessuno voleva ammetterlo, come se fosse una bestemmia. Senza sapere che lei è stata un po’ il nostro mito, da ragazzine, quando – unica donna – seguiva le guerre e i conflitti, si metteva l’elmetto e saliva sugli elicotteri. C’era solo lei. E poco importa se alla fine abbia tradito quella giovane donna che era stata.

Tu hai seguito i tuoi sogni, senza tradire te stessa. E mi piace ritrovarti in tante foto, diverse. Pensare a cosa avresti detto, fatto o scritto. Per non tradire mai se stessi.

E se mi chiedi, adesso, perché abbiano scelto me, per fare l’introduzione, la risposta è facile: ero la tua compagna di banco al Tg3. Voglio continuare a esserlo.

#ParlarediTAV

Parliamo di TAV. Facciamolo partendo dai fatti, valutando i numeri, ripercorrendo gli eventi in ordine cronologico. Evitando quindi falsificazioni e distrazioni, andando dritti al cuore del problema, per arrivare solo in un secondo momento a delle conclusioni. Dossier TAV, di Claudio Calia, usa questo approccio, proponendosi come agile guida, prontuario essenziale ma preciso, in grado di rispondere a tutte le domande che veramente contano.

Allora per parlare di TAV vi chiediamo proprio di partire dal libro di Claudio: inviateci le vostre recensioni a (se pubblicate in blog, siti o social network basta un link) fino all’11 gennaio. Pubblicheremo qui quelle che più stimolano riflessione e dialogo, e sorteggeremo un vincitore a cui Claudio regalerà una tavola originale del fumetto.

Nel frattempo continueremo a #parlarediTAV con qualche sorpresa “fuori concorso”, e una novità riguardante il libro. Speriamo continuerete a parlarne anche voi.

Francesco Niccolini e le disavventure di Enrico Mattei

Francesco Niccolini è drammaturgo e sceneggiatore, da molti anni studia e scrive per Marco Paolini e per molti altri attori e registi del teatro italiano. Collabora con Radio3 e con la Televisione Svizzera Italiana. Simone Cortesi è un talento emergente del fumetto indipendente italiano. Insieme hanno realizzato “Enrico Mattei, vita, disavventure e morte di un cavaliere solitario“, che abbiamo pubblicato da pochi giorni.

Vista la complessità della tematica, abbiamo pensato di chiedere a Francesco qualche delucidazione sul suo lavoro di ricostruzione a fumetti…

> Da dove nasce la necessità di scrivere un libro su Enrico Mattei?

Studio la storia di Mattei dal 1998, quando con Marco Paolini ci mettemmo a lavorare sui disastri della chimica a Porto Marghera. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con persone che lo conoscevano e, forse, con la persona che meglio di ogni altro sa cosa è successo il 27 ottobre 1962, ovvero Eugenio Cefis. Ho potuto consultare i materiali del PM Calia che dal 1995 ha riaperto l’inchiesta scoprendo le tracce della possibile esplosione, e di molte manovre di insabbiamento alterazione e cancellazione delle prove.
Tutto questo mi affascina e non mi passa la voglia di trovare modi di raccontare la sensazione di smarrimento di fronte a una vita assolutamente fuori da ogni norma, a una morte annunciata e a una delle più riuscite opere di cancellazione di ogni traccia di verità: a tutt’oggi io non saprei dire che ha ucciso Mattei e con quale preciso movente. La sensazione di impotenza che mi genera è una sorta di vertigine che mi ricorda la disperata necessità di questo Stato di affrancarsi dai poteri deviati e dagli interessi privati e stranieri come unica speranza per non affogare nella palude della propria corruzione.

> Sei abituato a muoverti tra diversi linguaggi, come mai sei arrivato anche al fumetto?

Ho raccontato Mattei in teatro, poi alla radio: una graphic novel mi permette cose diverse e soprattutto di raggiungere una diversa fascia di pubblico.

> Ci sono elementi di questa vicenda che non sei riuscito a inserire nel libro, ma che meriterebbero di essere approfonditi?

Una giornalista de “L’Espresso” mi ha rimproverato di non aver approfondito l’ambigua capacità di corruzione che Mattei applicava (e forse inventò) rispetto al sistema politico italiano. Probabilmente ha ragione. L’incorruttibile Mattei aveva la forza e il denaro per corrompere molti. Eppure continua a sembrarmi quasi irrilevante in un mondo di corrotti e corruttori, di interessi privati e di un uso improprio della cosa pubblica.

> Dopo questa prima esperienza tornerai a occuparti di fumetto? Hai già qualche idea?

Con BeccoGiallo stiamo lavorando a una graphic novel sulla tragedia del Vajont. La sceneggiatura è pronta e Duccio Boscoli, eccellente illustratore milanese, sta realizzando le tavole. Da qualche giorno poi ho un’idea nuova, ma è troppo presto per svelarla.

Le note dell’autore di “Paolo Borsellino, l’agenda rossa”

Verità, ipotesi, invenzioni. A distanza di vent’anni dalla strage di via D’Amelio, la verità giudiziaria sui mandanti occulti dell’eccidio è ancora tutta in discussione. È storia recente che il processo sull’uccisione di Borsellino e degli uomini della sua scorta ha subito un massiccio depistaggio ed è quindi da rifare.
In un quadro ancora indefinito c’è un’ipotesi che si accredita con più forza delle altre: Borsellino è stato ucciso perché era venuto a conoscenza della trattativa fra Stato e mafia, e vi si opponeva. Naturalmente in delitti di una certa portata non esiste mai un solo movente, e neanche un solo colpevole.

Nell’affrontare questo fumetto sugli ultimi due mesi di vita di Borsellino, prima di cominciare a scrivere, ho cercato a lungo di farmi un’idea su quanto è successo tra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio. A tale scopo, oltre a consultare la letteratura in materia, ho voluto incontrare alcuni tra amici, conoscenti, colleghi, parenti del giudice.
Nel mio sopralluogo di sceneggiatura a Palermo l’ultima persona con cui ho parlato è stato il giudice Teresi. La riflessione con la quale mi ha salutato il magistrato collega di Borsellino ha in qualche modo guidato il mio racconto. In risposta alle mie infinite domande sui mandanti della strage, Vittorio Teresi ha provato a spiegarmi che non è importante stabilire se il comando sia arrivato a Cosa Nostra da uomini dello Stato, dei servizi segreti o delle forze dell’ordine.

Non è rilevante se questa comunicazione sia avvenuta o meno. Ciò che bisogna chiedersi è chi aveva interesse a uccidere Borsellino. I vertici di Cosa Nostra non avevano bisogno di ricevere ordini. Era sufficiente la consapevolezza del consenso rispetto all’azione. Allargando questa riflessione a un perimetro più largo sentirei di dire che le colpe della morte di Borsellino vanno distribuite collettivamente tra chi aveva significativi interessi nella sua eliminazione e chi provava semplicemente insofferenza. A favorire la mafia sono le convergenze di interessi di una fetta del Paese troppo larga per individuare una manciata di capri espiatori.

A partire da questa convinzione ho immaginato di rappresentare Borsellino come un uomo isolato, circondato ovunque da zone grigie di rapporti tra le istituzioni e la mafia. Ho sposato l’ipotesi della trattativa come causa fondante della strage, ma ho suggerito che anche nella Procura e in Polizia c’erano comportamenti oscuri.

[…]

Nelle ultime settimane di vita Borsellino teneva due agende: su di una, quella grigia, annotava gli appuntamenti, mentre sull’altra, l’agenda rossa, scriveva tutto il resto. Borsellino non amava i diari. Prima di quel giugno del 1992 non aveva mai sentito l’esigenza di mettere nero su bianco né accadimenti né riflessioni.
La strage di Capaci però cambia ogni cosa. “Per me è finito il momento di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere, e qua dentro ce n’è anche per lei.” Così risponde Borsellino al maresciallo Canale che lo vede prendere appunti all’alba in un hotel di Salerno.

Giacomo Bendotti

Prosegue nel libro “Paolo Borsellino, l’agenda rossa“, in uscita l’11 luglio.

Intervista ad Andrea Ragona, autore di #YUGOLAND

YUGOLAND è da poco arrivato nelle librerie, mentre nel nostro store è disponibile al 25% di sconto per tutto il mese. Quale occasione migliore per sentire l’attivissimo Andrea Ragona e chiedergli delucidazioni?

> Andrea, chi sei e cosa fai quando scendi dalla tua Pony a emissioni zero?

Sono presidente di Legambiente Padova e in particolare mi occupo di mobilità. Poi, fra una pedalata e un’altra, cerco di giochicchiare a rugby.

> Cos’è una Pony, tra l’altro? Perché non te ne separi mai durante le presentazioni del libro?

Ho scoperto la Pony durante un campo di volontariato nel nord della Serbia: dovevamo riparare dei catorci recuperati dai garage per restiturli alla cittadinanza. Le bici che riparavamo erano appunto Pony, quella che in Jugoslavia era una specie di bici di stato. Grande come una graziella, ancora oggi se non possono vedere per tutti i paesi della ex Jugoslavia. Così ho pensato che la bici poteva diventare una metafora dei paesi balcanici. Il manubrio la Croazia, perchè Tito, la guida della Jugoslavia era croato. La Serbia è la struttura portante, cioè il telaio. La Slovenia il motore economico, ovvero i pedali. La Bosnia sono le ruote: il mix di aria, gomma e acciaio su cui si poggia la bici. La catena la Macedonia, perchè ogni piccola parte ha la sua importanza. La sella, che si sfila facilmente, senza clamore, il Montenegro. E infine il campanello. Il Kosovo è il campanello d’allarme che nel’89 si mise a suonare. Ma che nascosto dal rumore del muro che cadeva non è stato sentito.

> La genesi del libro è nota, ma com’è stata la fase di scrittura? Come è nata l’idea di fondere il testo a foto, illustrazioni e fumetti?

È stato un lungo lavoro di prove e riprove dettate da una volontà di fondo: quello di spiegare la Jugoslavia in maniera seria, ma non pesante, scanzonata ma non superficiale. Abbiamo così pensato che i fumetti e i disegni, avrebbero potuto aiutarci in questo. Altra aspetto importante è la musica: ad ogni capitolo è associata una canzone che vuole essere un’assonanza con quanto scritto nel capitolo.

> Come va l’avventura parallela del blog? Pensi che raccontarti e raccontare delle cose in un contesto del genere possa avere ripercussioni positive sul percorso del libro?

Aprire il blog è stata la diretta conseguenza dei diversi linguaggi che usiamo nel libro. Con inoltre il pregio di essere dinamico e quindi essere aperto a nuovi racconti, nuovi viaggi.

>Per chiudere… dove potremo incontrarti prossimamente?

Per ora abbiamo fissato le presentazioni di stasera alle 18 alla Lovat di Trieste, a Padova all’osteria L’Anfora alle 11 di sabato 9. Il 14 giugno alle 21 saremo a Vicenza alla libreria Do Rode mentre venerdì 22 a Banda Larga a Feltre. Ma siamo in trattativa per moltissime altre presentazioni: Torino, Milano, Udine, Venezia, Castelfranco, Perugia e tante altre ancora. Per ora stanno andando decisamente bene: forse perché c’è musica e offriamo sempre degli assaggi di Rakija, la famosa grappa balcanica.
Consiglio di seguire le evoluzione online, nel blog posterò le prossime date non appena saranno confermate!

Grazie Andrea. A questo proposito, chiudiamo segnalando i canali preferenziali per discutere con lui di Jugoslavia, viaggi, grappe e non solo:
yugoland.blogspot.it / @andrearagona / #YUGOLAND

Il Caso Calvi: intervista agli autori

La storia politico-economica del nostro paese dal dopoguerra ad oggi è un terreno ricco di piccoli e grandi casi misteriosi, spesso intrecciati tra di loro. Il caso Calvi è uno di questi. Il “banchiere di Dio” che in breve tempo è riuscito a costruire un impero bancario coinvolto con varie organizzazioni e istituzioni: Vaticano, banda della Magliana, loggia P2, servizi segreti…
In questo contesto, come va letta la morte di Calvi, trovato impiccato sotto al Blackfriars Bridge di Londra? Un quesito che non ha ancora trovato una risposta convincente, e che Luca Baino, Luca Amerio e Matteo Valdameri hanno deciso di affrontare a fumetti. Li abbiamo intervistati per capire cosa li ha spinti ad affrontare l’argomento, e cosa possiamo aspettarci dal libro, che uscirà a giugno.

Com’è nata l’idea di raccontare la storia di Roberto Calvi a fumetti, e come si è formato il vostro “team?”

LB – Estate del 2010: Io e Luca Amerio ci conosciamo da una vita, insegniamo scrittura creativa assieme e decidiamo di scrivere qualcosa di più ampio del solito. Luca mi propone Calvi (e altri tre progetti).
Lucca Comics 2010: primo contatto con BeccoGiallo, il progetto di Calvi piace e iniziamo a intavolare una discussione.
Autunno 2011: Il progetto “Sotto il ponte dei Frati Neri” viene messo in cantiere.

MV – Sono stato contattato da BeccoGiallo dopo che hanno visionato i miei lavori brevi fatti per un contest, e successivamente le tavole sul mio blog. Poi mi è stata proposta questa storia, e dopo la sorpresa iniziale ho accettato di buon grado.

Perché ritenete che sia interessante parlare ancora oggi di questa vicenda?

LA – Perché è una di quelle storie italiane che hanno lasciato un segno deciso nella memoria, e che per molti versi è stata uno spartiacque per la nostra società, con ripercussioni presenti anche nella realtà socio-politica di oggi.

LB – C’è sicuramente ancora molto da dire a riguardo. E ancora da dire ci sarà anche dopo il nostro lavoro. La cosa inquietante è che più si scava più c’è da scavare, più si trova e più c’è da cercare.
Col passare degli anni, escono nuove testimonianze, teorie, personaggi, documenti… Distinguere il vero dal falso è stato molto difficile: abbiamo fatto del nostro meglio.

Quale stile narrativo e grafico avete scelto per raccontarla?

LA – Avevamo in testa idee molto chiare su come la storia doveva essere raccontata. Il nostro modello principale è stato Elio Petri, mi piace molto il suo modo di raccontare una storia. Infine, grazie all’aiuto di BeccoGiallo abbiamo iniziato a lavorare anche con Matteo, che ha trovato uno stile capace di rendere graficamente l’atmosfera che avevamo immaginato.

LB – Quello dello stile grafico era un grosso problema. Cupo, tagliente, d’atmosfera… parole chiave che non sapevo ricondurre a un tratto preciso. Poi con Matteo questi tasselli sono andati pian piano al loro posto.

MV – Dal punto di vista grafico ho usato un bianco e nero deciso, senza mezzi toni, che secondo me si adatta alla perfezione al tipo di storia che abbiamo voluto raccontare. Toni cupi, quindi, da fumetto tipicamente noir.

C’è qualcosa che vi ha colpiti particolarmente durante le fasi di documentazione e lavorazione del libro?

LA – La sensazione che ci fosse un legame profondo e perverso di malaffare capace di arrivare davvero ovunque.

LB – La preparazione di Luca e la sua velocità di lettura! Battute a parte… anche per me il fatto di scoprire che “tutto era collegato”… e che nessuno – davvero nessuno – si può definire, da un punto di vista storico, innocente.

MV – Confermo: mi ha colpito la rete impressionante di intrighi, soldi, conoscenze e potere che c’è sotto tutta la vicenda. E verificare che in fondo oggi non è cambiato molto…

Quali reazioni vi aspettate dopo l’uscita?

LA – Spero che i lettori rimangano colpiti dalla vicenda, umana e criminale, ma soprattutto che abbiano voglia di approfondirla a partire dal nostro lavoro. Magari con uno sguardo attento e critico agli avvenimenti più recenti.

LB – Mi auguro che scuota un po’ gli animi… perché quella di Roberto Calvi non è solo la storia di un complotto, di soldi facili, di una Chiesa in odore di Mafia… Certo, è anche questo. Ma prima di tutto è una storia umana.

MV – Spero che si faccia leggere con piacere da tutti, e che venga considerato nel suo insieme un buon lavoro.