L’America del cinese numero zero

Nuova apparizione su La lettura del Corriere della sera per il duo Ciaj Rocchi e Matteo Demonte, autori di Primavere e Autunni e Chinamen. Due pagine e un breve cartone animato per ripercorrere la storia di Quimbo Appo, il “cinese numero zero” di New York.

Per l’occasione, una breve intervista per il nostro blog.

Eccovi di nuovo a parlare di immigrazione cinese a fumetti, davvero credevo che dopo Chinamen aveste fatto il pieno..!

Certo, Chinamen è stato una grande fatica, ma anche un grandissimo risultato. Ancora oggi non esiste niente del genere dedicato alla storia dei Cinesi in Italia. Ma la vicenda di Quimbo Appo è tutta un’altra cosa, l’abbiamo scoperta mentre lavoravamo sulla storia di New York, stavamo studiando il Lower East Side di Manhattan e la sua stratificazione sociale, le enclave etniche: il Ghetto ebraico, Little Italy, Chinatown… e Appo era lì come un bastione, il migrante zero, il primo cinese di New York City.

Quimbo Appo è un Chinaman mezzo cowboy e mezzo dandy, la sua avventura è un coast to coast da San Francisco a New York.

La sua vicenda è diventata una case history nella giurisprudenza americana relativamente alle origini degli scontri razziali a metà Ottocento. Questo ha fatto sì che la documentazione testuale relativa alla vicenda di Appo sia molto ricca: dai giornali dell’epoca, agli atti dei processi, le interviste mentre si trova in carcere, l’autobiografia del figlio…

Ancora una volta era un’occasione per noi di rendere a fumetti i risultati di una ricerca di taglio documentaristico etnografico, contribuire a dar forma ad nuovo immaginario sempre più incipiente, che vede i migranti come componente fondamentale della cultura contemporanea, veri protagonisti delle metropoli della modernità. In questo senso la storia di Quimbo Appo è un pezzo della storia di New York.

So che procedete sempre in maniera molto rigorosa rispetto alle fonti documentali e iconografiche come avete lavorato per ricostruire questa storia di Appo?

Come per i perlari o per il Wu Qiankui di Chinamen, non abbiamo lavorato a partire da fotografie, non ce n’erano! Non abbiamo trovato ritratti fotografici né di Quimbo Appo né di Catherine Fitzpatrick; stiamo infatti parlando dell’America del 1850, prima della guerra civile, prima di Tex! Abbiamo iniziato a ricostruire la fisionomia di Appo basandoci sulle descrizioni che di lui ne facevano i documenti e i giornali, che lo presentavano sempre come un uomo molto bello (rispetto agli altri cinesi): piuttosto alto; elegante; vestito all’occidentale; un “veritable chinamen” che si convertì persino al cristianesimo.

Per la fisionomia del personaggio abbiamo quindi lavorato di fantasia, cercando di restare invece fedeli al contesto e all’ambientazione che ci offrivano la possibilità di attingere dalle fonti.

La storia di Appo ci ha catturato perché è, ancora una volta, la storia di un pioniere. Lui lasciò la Cina prima dei coolies, prima della corsa all’oro; arrivò in California quando ancora San Francisco era territorio messicano e si chiamava Yerba Buena, ed era costituita da un porticciolo protetto nella baia, con pochissimi insediamenti sparsi.

Appo non era cantonese come gli altri Chinamen d’America, lui veniva dal Zhejiang (proprio come i cinesi di casa nostra); era nato a Zhoushan, un piccolo arcipelago di fronte alla città di Ningbo, uno dei “Treaty ports”, quei porti aperti al commercio occidentale dal 1842, dopo le disastrose perdite subite dall’Impero cinese durante le guerre dell’oppio.

Così come Canton, Xiamen, Fuzhou, Ningbo e Shanghai, anche Zhoushan venne conquistata dai commercianti occidentali, ma venne poi scambiata dagli inglesi con Hongkong – ai tempi una povera isola di pescatori – che divenne l’unica colonia della Corona Britannica in terra di Cina.

Appo racconta di essere cresciuto durante i bombardamenti inglesi su Shanghai. Racconta di aver partecipato a viaggi e spedizioni nella Cina interna al seguito dei missionari prussiani. Apparteneva a una famiglia di Compradores, gli agenti di commercio cinesi che lavoravano per le compagnie coloniali occidentali e per queste ragioni ebbe la possibilità di imbarcarsi su un “Clipper Ship”, i velocissimi velieri che tracciavano le rotte commerciali americane. Così giunse nel Nuovo Continente ed iniziò la sua avventura, ma diversamente da come ci si potrebbe aspettare non si unì ai cinesi già presenti sul posto; piuttosto si mescolò con la gente – europei, americani, australiani – cercando di assorbirne non solo i modi, ma soprattutto la lingua.

Quando nel 1848 scoppiò la febbre dell’oro e i cinesi si diressero a nord, sullo Yuba River, Appo andò a sud, nel deserto di Sonora, vero far-west, luogo di fuorilegge e ultima frontiera ancora da esplorare. La città era un campo di minatori vicino al San Joaquin River ed era conosciuta come “la torre di Babele” perché c’erano persone che venivano da tutto il mondo e si parlavano talmente tante lingue…

La presenza di Appo è testimoniata dalle fonti così come il fatto che restò coinvolto nell’uccisione di due messicani e che improvvisamente si diede alla fuga lasciando la California. Le fonti registrano di nuovo la sua presenza a Boston nel 1853.

Se abbia attraversato l’America coast to coast o se abbia invece preso una nave, non è chiaro. Abbiamo studiato i percorsi dell’epoca e ci sembrava verosimile l’ipotesi del “California trail”, la rotta che i migranti percorrevano a piedi e che portava da Jackson – California fino al fiume Missouri. Ancora non esisteva la Transcontinental Railroad, la ferrovia che costruiranno i cinesi e che verrà terminata nel 1869.

A Boston Appo tornò alla sua vocazione iniziale, il commercio. Sicuramente in California aveva messo via un bel gruzzoletto e aveva finalmente i mezzi per aprire un suo negozio di tè. Nel 1855 aprì il suo primo negozio a New York, dove il tè era uno dei prodotti d’importazione più in voga, e poi a New Haven, Connecticut, dove aveva incontrato e sposato una donna irlandese di nome Catherine Fitzpatrick.

Insieme andarono a vivere a New York, Lower East Side Manhattan, Spring St. 50, all’incrocio con Mulberry St., dove Appo aveva un anche magazzino. Quello era il cuore pulsante della New York multietnica!

Ebbero un figlio e una figlia: la figlia morì ancora infante; il figlio, nato il 4 luglio 1856, venne chiamato George Washington Appo.

La nostra narrazione a fumetti e l’animazione si fermano qui, quando Appo è ancora un uomo d’onore e d’affari e il suo processo-progetto d’integrazione sta andando alla grande. Era un esempio per tutti e riscuoteva grandi riconoscimenti. Ma come abbiamo scritto su La Lettura la sua storia è una parabola e subirà una caduta tragica e improvvisa.

Parliamo un attimo dell’animazione, come vi è venuta l’idea? 

Mah… non è che proprio ci sia venuta l’idea. Fa piuttosto parte del nostro modo di lavorare e di essere. Il video ci ha sempre accompagnato e dopo l’esperienza di Chinamen, abbiamo sempre più voglia di cimentarci con piccole e semplici animazioni che arricchiscano la narrazione. E poi La Lettura non aveva ancora mai avuto la sua video novel, realizzata esclusivamente con i disegni della graphic novel, non uno di più. Chi lo sa, magari in futuro potrebbe diventare un format, ma il punto vero è che questa mini-novel su Quimbo Appo si potrebbe considerare a tutti gli effetti una costola di Chinamen, una specie di spin-off o un mini-prequel…

E’ stato proprio studiando la storia della vecchia Chinatown di San Francisco che abbiamo visto usare per la prima volta il termine “Chinamen”, quindi la mini-novel su Quimbo Appo si configura proprio come un apparato di approfondimento, in un certo senso tocca molti punti derivativi di Chinamen, legati alla mitografia della diaspora cinese e dei suoi nuovi eroi, “I mercanti”. Era un mercante WuLishan, protagonista di Primavere &Autunni, erano mercanti i venditori ambulanti di perle false di Chinamen ed è stato un mercante Mario Tschang, il primo figlio della comunità cinese di Milano.

In Cina l’ideologia ufficiale confuciana stabiliva molte restrizioni per i mercanti e la loro classe. Si credeva che una classe dedita al guadagno materiale potesse minare le basi dell’equilibrio sociale. Fuori dalla Cina, questi mercanti trovarono più libertà d’azione e meno tasse. Gli immigrati cinesi in America venivano per lo più da Canton e il viaggio verso San Francisco – “Gamsan” in cantonese – la montagna dorata – era drammatico poiché l’impero dei Qing puniva con la morte per decapitazione chi veniva sorpreso nell’atto di lasciare il paese.

Nel 1860 i cinesi immigrati negli Stati Uniti (quasi tutti nelle regioni occidentali) erano 35.000, registrati come residenti temporanei di sesso maschile (male sojourners). Avevano lasciato la Cina nella speranza di mettere da parte una fortuna per poi fare ritorno in patria.

Gli americani furono intolleranti nei confronti dei cinesi sin da subito, ma i cinesi erano lavoratori di prim’ordine e seppero guadagnarsi il rispetto degli abitanti di San Francisco che stava diventando la prima città portuale della costa occidentale.

Parlare di Chinamen significa quindi parlare di Chinatown, “They were funky Chinamen from funky Chinatown…”, ed questo ciò che ci interessa indagare: il significato profondo della presenza cinese nelle nostre città e nel nostro immaginario. Ci stiamo lavorando sin dai tempi di Primavere&Autunni, ricostruendo le origini degli insediamenti cinesi nel quartiere di “Porta Volta”, storica Chinatown meneghina; con Quimbo Appo raccontiamo invece le origini della Chinatown di New York e la sua importanza nel formarsi della cultura americana contemporanea.

Come avete reagito alla notizia che Chinamen era stato selezionato per il premio Gran Guinigi al Lucca Comics&Games?

A dire la verità ce l’ha comunicato Matteo Mastragostino, autore BeccoGiallo. Se non fosse stato per lui non l’avremmo neanche saputo.

Ma è di sicuro un grande riconoscimento, che per di più veniva dal gotha dei fumettologi italiani. Il nostro lavoro, sin dall’inizio, ha avuto un forte riscontro presso le università e le istituzioni dove è stato percepito per il suo valore storico e sociologico, ma non era ancora stato preso in considerazione come graphic novel in senso stretto. Essere nella selezione per il Gran Guinigi insieme ad Alan Moore, Warren Ellis, Roi e gli altri… beh, è stato gratificante, anche perché dietro Chinamen c’è stato un gran lavoro e che venisse considerato degno del più prestigioso premio italiano assegnato ad un’opera a fumetti beh, è stata una conferma.

Chinamen è un progetto molto complesso e articolato, che ha visto coinvolti promotori istituzionali e privati: è stato un progetto di arte pubblica nelle strade del quartiere di Paolo Sarpi a Milano, una mostra allestita al Mudec, un documentario a disegni animati… ma questa volta veniva premiato proprio il fumetto “Chinamen” che, a fronte di tutte le fatiche affrontate, resta il vero cuore dell’intero progetto. Un libro unico, un graphic essay di taglio documentaristico etnografico e nello stesso tempo il catalogo di una mostra che per la prima volta, con testi critici e apparati iconografici, ha ricostruito la storia di un secolo di presenza cinese a Milano e in Italia.

Insomma, un fumetto serio, molto diverso dal solito, che si è trasfigurato da subito in un cartone animato gemello di più veloce consultazione. Ma è il fumetto lo strumento di divulgazione popolare fondamentale; attraversa gli ambienti culturali più disparati – dalle Università agli oratori, dai centri sociali alle fiere del libro – ne ha viste di presentazioni la nostra storia dell’immigrazione cinese a fumetti! Sono tre anni che non ci fermiamo.

A proposito, so che proprio in questi giorni state partecipando ad un progetto di BookcityScuole che vi vede impegnati in 5 istituti, della scuola primaria e secondaria di Milano, per raccontare il vostro Chinamen ai bambini. Dopo tanti atenei, com’è parlare ai più piccoli?

Insieme alla cooperativa Codici e all’ufficio Reti di cooperazione interculturale del Comune di Milano stiamo partecipando a un progetto di BookCityScuole 2017/2018 che promuove la lettura in città. Attraverso la lettura di Chinamen queste scuole affronteranno un percorso di educazione alla convivenza e conoscenza della presenza cinese a Milano.

E’ un grande onore per noi partecipare a progetti del genere, ma sicuramente è anche molto difficile. Chinamen infatti, è un progetto pensato sin dall’inizio per adulti, con una certa densità storica e sociologica. E’ proprio per questo che siamo stati nelle università, perché approfondiva argomenti che di solito sono della ricerca. Ora ci troviamo fronte dei bambini di otto, nove anni che la storia hanno appena iniziato a studiarla e non hanno ancora tutti gli strumenti affrontare il contesto che faceva da cornice alla vicenda dei primi cinesi in Italia. Abbiamo quindi semplificato, lavorando sugli aspetti più simbolici ed artistici di Chinamen, condividendo con gli studenti e le loro insegnanti delle tracce grafiche da cui partire e che saranno poi elaborate dai ragazzi in classe.

Nelle scuole medie invece, si può affrontare anche l’aspetto più narrativo di Chinamen e la storia della presenza cinese in città, lavorare sulle mappe degli insediamenti nel quartiere Canonica-Sarpi o su quelle dei villaggi di provenienza di questi immigrati.

Sarà una bella sfida per il fumetto di realtà; abbiamo voluto occuparci di cose serie? Questi sono i risultati, raccontare queste storie, attraverso il fumetto, al pubblico più vario che ci sia.

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