In seguito alla lettura su Repubblica di martedì primo settembre dell’articolo “Ma l’arte può davvero raccontare Auschwitz?” abbiamo pensato di pubblicare alcuni estratti sul tema dall’articolo di Giampietro Fattorello KZ: a futura memoria, ospitato in K. Z. disegni degli internati nei campi di concentramento nazifascisti.
“[…] Nato nel 1923 a Oderzo (Treviso), Benvenuti aveva coltivato fin da ragazzo la passione per il disegno, la pittura e la letteratura e aveva proseguito su questa strada a dispetto delle necessità della vita che lo avevano indotto, nel secondo dopoguerra, alla professione amministrativa nel settore petrolifero e in quello bancario e a rinunciare a «convertire» il diploma di ragioniere in una laurea in Economia e Commercio, i cui corsi aveva seguito alle Università di Venezia e Trieste. Sorretto da una tenacia fortissima e da una acuminata capacità di osservare e capire se stesso e il mutare degli eventi storici, Benvenuti celò il suo bisogno di dare compiuta espressione al suo modo di essere e di vedere le cose fino ai tardi anni Sessanta, quando decise di rendere pubblica la sua arte, che proprio in quel periodo sgorgò in pittura e in poesia. Fu un’arte che affiorò come un fiume carsico e che proprio nell’area geografica e culturale del Carso trovava il suo luogo privilegiato e il suo ancoraggio nella terra natale di Marucci, l’isola quarnerina di Lussino. Lussino: come dire l’isola che i due coniugi frequentavano dai primi anni Cinquanta, soggiornando nella casa dei genitori della moglie, l’isola che, con la figura di Marucci, è eletta a centro fondante e simbolico dell’arte pittorica e poetica benvenutiana. […]”
“[…] Una coscienza vigile e avvertita, quella di Benvenuti, fin dai tempi del secondo conflitto mondiale, quando il giovane Arturo fu tentato dalla guerra di resistenza. Una coscienza inquieta e attenta al proprio tempo, una coscienza che nei primi anni del dopoguerra aveva sperato in una Italia nuova e più giusta e che col tempo dovette ricredersi. È la stessa coscienza che anima l’attività artistica e culturale di Benvenuti adulto e che si traduce conseguentemente, anche, in costante impegno civile.
La ricerca dei disegni non fu pertanto il pretesto per dare sfogo alla passione, magari sorretta da impulsi macabri e sadici, di un collezionista di funerei cimeli ma l’occasione, attraverso l’arte testimoniale, di fare memoria al di fuori della ritualità ufficiale e di fare i conti con il proprio vissuto, per continuare la propria maturazione esistenziale e umana.Un rimorso di coscienza divenne pertanto un obbligo morale volto a fare memoria attraverso il tentativo di «comprendere» la Shoah.
Nel 1987, in occasione di un incontro organizzato dal Circolo Russell di Treviso in ricordo di Primo Levi, Benvenuti dirà a questo proposito: «questo desiderio di capire lo sentivo come un imperativo nella mia qualità di cittadino di un consorzio umano che si autodefinisce civile; quindi il bisogno di una risposta se proprio non del tutto definitiva, almeno sufficientemente indicativa» (Benvenuti, 1987). E nel 1998, nell’ambito della mostra La Shoah e la memoria da lui curata, ribadirà: «La spinta ad operare ha trovato la sua fonte in una istanza d’ordine morale; vorrei dire forse anche il bisogno di una sia pur tardiva riparazione per non aver saputo in quel buio profondo offrire maggiore opposizione al clima che portò il mondo a tanta macelleria» (Benvenuti, 1998). […]”
“[…] Dunque, da dove il male, perché il male senza giustificazione, inconcepibile e inaccettabile? Dove erano l’uomo e Dio nei campi di sterminio?
Dove era l’uomo nei lager, luoghi della destituzione in cui il carnefice martirizzava la vittima e la vittima si opponeva alla vittima? Vi erano tracce di umanità nella degradazione generalizzata, essendo disumano il persecutore e disumanizzato il perseguitato?Se un residuo di umanità si può rintracciare nel lager, allora secondo Levi lo si può attribuire solo a coloro che seppero sopravvivere senza rinunciare al loro mondo morale, «pochissimi individui superiori, della stoffa dei martiri e dei santi» (Levi, 2012, p. 80).
Pochissimi i veri salvati, coloro che salvarono non solo la vita biologica ma anche la vita umana. Ma la vita umana poteva salvarsi e testimoniare, così, la presenza dell’uomo anche ogni rara volta che pensieri e sentimenti umani sgorgavano, malgrado la rigidissima sorveglianza e la ferrea disumanizzazione praticata dall’organizzazione industriale dei campi. In quegli straordinari momenti poteva manifestarsi l’uomo, come quando Primo Levi eleva «il canto di Ulisse», mentre con Jean, il Pikolo del Kommando Chimico, si reca a prendere la zuppa. […]”
“[…] Se la poesia su Auschwitz non è, dunque, una semplice operazione estetizzante, ma farsi carico di Auschwitz – ossia vivere «poeticamente» Auschwitz –, allora la poesia è possibile anche dopo Auschwitz, «“anus mundi”» (Levi, 2007, p. 48); è possibile e ha un senso anche dopo che la catastrofe della civiltà occidentale è accaduta, anche dopo «ciò che è stato», così come Celan chiamava il genocidio. E, infatti, secondo Ilana Shmueli, Celan, quando parlava della Shoah, diceva sempre e soltanto «ciò che è stato» (Gnani, 2010, p. 179).
E se poi la poesia diventa un «risarcimento» offerto ai sommersi e ai salvati, allora la poesia non può essere un atto di barbarie, ma un atto di restituzione di quella umanità che Auschwitz ha destituito. Per questa via, la poesia con i suoi poveri mezzi – poveri in paragone ai mezzi degli apparati politici, tecnologici e politico-finanziari – può dare il suo contributo alla ricostituzione della civiltà non solo occidentale ma più semplicemente umana. […]”
Giampietro Fattorello è nato a Ponte di Piave (Treviso), ove risiede, nel 1962; laureato in filosofia presso l’Università di Padova nel 1987 (con una tesi sul Sapere del principio nel pensiero di Marino Gentile), insegna materie letterarie nel liceo scientifico. Interessato all’area di intersezione tra pensiero filosofico e poesia, si è dedicato ad un’attività letteraria per lo più «clandestina».
Nel catalogo Arturo Benvenuti. Uomo, scrittore, artista (2012) è autore del saggio Lussino e il gabbiano; la poesia della persuasione in Arturo Benvenuti. Per la Casa di Cultura Goffredo Parise di Ponte di Piave ha curato due eventi tratti da I movimenti remoti e da Arsenio, andati in scena presso la casa dello scrittore vicentino in riva al Piave. Nel 2013 ha curato, insieme a Roberto Costella, l’esposizione Isole: pittura e poesia di Arturo Benvenuti presso la Biblioteca Civica di Ponte di Piave. Nel 2014 ha curato la pubblicazione Arturo Benvenuti. L’opera poetica per le Edizioni BeccoGiallo, firmando anche il saggio Benvenuti, la cenere della vita e la poesia.