Dopo aver raccontato la settimana scorsa i motivi che ci hanno spinti, come editori, alla scelta di pubblicare un libro a fumetti su Carlo Giuliani (segnaliamo a proposito anche l’intervista a Guido Ostanel nello Speciale Blow Book di Radio Sherwood), è tempo di passare la palla agli autori.
Abbiamo pensato di rivolgere qualche domanda a Francesco Barilli e Manuel De Carli per fare in modo che possano raccontarvi il loro punto di vista e l’approccio che hanno voluto tenere nei confronti di una vicenda così delicata.
Sono passati 10 anni da quel G8 di Genova. Come avete vissuto e cosa ricordate di quei giorni?
Francesco Barilli: Genova è stata uno spartiacque nella vita di molti. Lo è stata anche per me, nonostante fossi assente nel luglio 2001. Un’assenza non dovuta a una presa di distanza ideologica, ma non nascondo che a tenermi lontano non furono solo questioni familiari (pure presenti: due figli piccoli, l’ultima di pochi mesi, non erano certo un incentivo ad andare). In quel periodo avevo, se non abbandonato, almeno accantonato l’impegno politico. Guardavo con simpatia al “movimento dei movimenti”, ma a 35 anni mi ero “ritirato nel mio privato”, delegando ad altri battaglie che pure condividevo.
Tutto questo non lo dico con vanto, anzi: mi sento ancora in colpa se penso a quel “ritiro”. Un po’ perché protestare non è solo un diritto, ma in certi momenti è un dovere, cui non ci si può sottrarre se non assumendo su se stessi colpe e conseguenze. Un po’ perché la mia generazione è quella del riflusso, su cui pesa la colpa d’aver affossato, nel migliore dei casi per colpevole apatia, molte conquiste precedenti, molte speranze che proprio il popolo di Genova provò a riaccendere.
Manuel De Carli: A Genova io non c’ero. Ricordo però il caldo di quell’estate, ricordo di aver chiamato degli amici che erano là e di essermi poi attaccato spasmodicamente alla tv, alla radio, ma soprattutto a internet per cercare quante più notizie possibili su quei fatti appena accaduti. Ricordo le immagini in tv, si vedeva il fumo dei lacrimogeni, si sentivano i rumori, le sirene, poi il sangue… Sui volti, per terra, dappertutto. E l’omicidio.
Ricordo la Diaz. Ricordo una notte di aver visto Fuoriorario su Raitre, mi sembra girato dallo stesso Enrico Ghezzi: un lungo piano-sequenza sulle devastazioni, girato lungo una via di cui non conosco il nome. Ad un certo punto compare in lontananza una mezza forma di mortadella in mezzo alla strada, sudata sull’asfalto bollente… La ripresa, una volta raggiunta, si ferma e insiste sul suo aspetto. Viene chiamata anche “il prosciutto dei poveri”.
FB: Poco dopo quei fatti fu un mio caro amico a chiedermi di scrivere per Ecomancina, sito internet di informazione alternativa da lui creato. Accettai subito: per me era un’esigenza più che una possibilità.
Parafrasando Che Guevara, si trattava di recuperare la capacità di indignarmi di fronte alle ingiustizie, tornando a sentire che nessuno può ritenersi escluso dalle responsabilità dell’agire concreto.
Come scrittore e mediattivista “nasco” dunque proprio con i giorni del G8 genovese. Il resto (il coordinamento di Reti-Invisibili, i libri sulla Diaz o Piazza Fontana, fino a questo su Carlo) sono stati una logica conseguenza di quell’impegno.
Non ero a Genova nel 2001, ma non ho più saltato una ricorrenza del luglio genovese dal 2002 in poi…
Perché un libro su Carlo Giuliani oggi?
FB: Dal 2001 a oggi i fatti di Genova si sono arricchiti di molti particolari, sia sui media (più su quelli alternativi che sui principali) sia nelle aule processuali, ricostruendo quella che secondo Amnesty International è stata “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Un lavoro imponente che ha riguardato le violenze delle forze dell’ordine: quelle “di strada” e quelle avvenute in contesti diversi, le torture nella Caserma di Bolzaneto o la “notte cilena” alla scuola Diaz.
Purtroppo, come accenna Giuliano nel libro, solo un fatto è rimasto fuori dall’aula di un tribunale: l’omicidio di Carlo. Per tale motivo abbiamo voluto “isolarlo” in questo lavoro, unendo alla ricostruzione dell’evento (e dei lati oscuri che avrebbero dovuto trovare una risposta in un processo) il ricordo di Carlo come persona.
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