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L’invasione degli scarafaggi… a teatro!

Ha debuttato il 16 marzo a Carbonara (Bari) lo spettacolo di marionette tratto da L’invasione degli scarafaggi – La mafia spiegata ai bambini, di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso.

Per l’occasione abbiamo voluto rivolgere una domanda a Lelio Bonaccorso su che impressione ha avuto nel vedere trasposti i suoi disegni in uno spettacolo di marionette.

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Marco Rizzo ospite di Concita de Gregorio a Pane Quotidiano

A Castelgallo, un colorato paese affacciato sul mare e abbracciato dalle montagne, si è diffusa una strana malattia. Gli abitanti hanno cominciato a trasformarsi in disgustosi scarafaggi. Ma c’è un filo conduttore tra le vittime di questo morbo: tutti hanno compiuto degli atti criminali, piccoli e grandi. Spetterà a un giovanotto coraggioso, Alberto, ricordare ai suoi compagni e agli altri abitanti di Castelgallo che è possibile combattere quella malattia… e che anzi, conviene! (altro…)

L’invasione degli scarafaggi: intervista al duo Rizzo/Bonaccorso

Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso hanno molto da dire sulla mafia. E l’hanno già detto in molti modi. Quello che forse ancora mancava era un libro per spiegare la mafia ai bambini (ma non solo). Rimedieranno tra pochi giorni con “L’invasione degli scarafaggi“, un’ottima occasione anche per far loro qualche domanda e provare a capirne di più.

> Come nasce l’idea di spiegare la mafia ai bambini?

MR – In realtà, con i miei libri precedenti, ho avuto diverse occasioni di confronto con ragazzi di tutte le età. Peppino Impastato è stato un successo trasversale, letto nelle scuole elementari come nelle medie o nelle università. Abbiamo incontrato bambini e ragazzini e provato a raccontare quei personaggi che combattevano mafia e malaffare. Con L’invasione degli scarafaggi abbiamo voluto metterci alla prova, lavorando sul linguaggio e sulle metafore. Abbiamo voluto scrivere una fiaba (come tutte le fiabe adatta ai lettori di tutte le età) che spiegasse cosa è quella mafia combattuta da Impastato, Rostagno e tanti (per fortuna) altri. Per una volta, senza paternalismi, per carità, abbiamo provato a chiamare come interlocutori quei bambini a cui non ci siamo mai rivolti direttamente.

LB – Fino ad ora avevamo sempre raccontato a fumetti storie con un taglio più maturo, più adulto. Adesso sentivamo l’esigenza di di lanciarci in un’esperienza che potesse permetterci di usare l’illustrazione per bambini, un mezzo differente rispetto al fumetto. Inoltre sentivamo la responsabilità di continuare quell’opera di divulgazione e consapevolezza che abbiamo spesso portato nelle scuole primarie, ed andare a raccontare una storia direttamente ai bambini. Sono loro la chiave di volta per una vera evoluzione sociale…

> Quali scelte avete effettuato a livello di sceneggiatura e grafica per rendere il racconto efficace e coinvolgente?

MR – Non ho preparato una vera e propria sceneggiatura: L’invasione degli scarafaggi è un libro illustrato con degli “innesti” di fumetto. Quindi ho scritto un racconto, e passo passo intervenivo sul testo estrapolando le scene più significative. Poi le ho descritte, inserendole nel racconto e passando il tutto a Lelio. Ho giocato con le metafore. Al di là della presenza di animali antropomorfi (a parte il caso degli scarafaggi è solo un vezzo artistico) mettiamo in parallelo la mafiosità quotidiana di un microcosmo come una scuola, con bullo e vittime, con quella di un piccolo centro, che potrebbe essere dovunque e in qualunque tempo, sottomesso da boss e criminali.

LB – Per quanto mi riguarda il poter raccontare a colori in maniera tradizionale (acquerello e matita colorata) è stato catartico. Il colore, la tinta calda che ho usato, diventa “accogliente e coinvolgente”, una specie di mondo edulcorato in cui non ti immagineresti mai di trovare un mafioso… più o meno la stessa sensazione che provi nell’incontrare una persona del genere nella vita di tutti i giorni. Una sensazione spiazzante. Inoltre ho potuto sperimentare, anche grazie a Marco, delle trovate narrative interessanti, che delineassero marcatamente i personaggi e gli ambienti. Ogni figura vive la sua vita indipendentemente dal contesto, ritrovandosi poi improvvisamente al centro della scena. Marco è bravo nel dare consistenza a ciò che scrive, riesce ad entrare nella storia e farti immediatamente visualizzare la scena, in maniera sintetica, funzionale ed emotiva.

> Se doveste spiegare la mafia ai bambini non in un libro ma in una riga… cosa direste?

MR – Ti cito Mauro Rostagno, laconico ma efficace: “La mafia è il contrario della libertà”.

LB – La mafia è quella cosa che non vi permetterà mai di realizzare i vostri sogni. È una macchina mangia-sogni. Non permettetegli mai di esserlo con voi.

> Con gli adulti invece abbiamo perso le speranze o vedete segnali positivi? Come vivete la situazione siciliana recente?

MR – Quante cartelle ho? Alla caravana antimafia di Libera Trapani, ieri, Salvatore Inguì, responsabile di Libera Marsala ha detto: “Siamo più di dieci, quindici anni fa”. Già questa è una piccola vittoria. Al di là delle riproposizioni retoriche e dovute, l’antimafia con tutto il suo corollario esiste ed è viva. Forse, volendo essere pessimisti, è una minoranza: i siciliani hanno preferito tre volte su tre un Presidente di Regione poi finito indagato e in un caso arrestato per mafia (due volte Cuffaro, poi Lombardo). La cronaca è piena di casi di voti di scambio, appalti truccati, prebende elettorali, manovrine ad alti e bassi livelli. Eppure c’è chi lotta: insegnanti, poliziotti, parroci, giornalisti, magistrati, imprenditori onesti. Che sia una minoranza o meno, è da qui che bisogna cominciare.

LB – Inutile mettere a fuoco solo il lato negativo e pessimistico delle situazioni. Ovviamente nemmeno negare la mafia, e soprattutto la mafiosità sarebbe una buona scelta, anzi sarebbe nefasto. Credo che in tutte le situazioni difficili, si manifestino le persone più valide, o meglio il nostro lato migliore, ignoto a volte a noi stessi, e sappiamo benissimo che la cura sta sempre nella piaga, è un fondamentale momento di consapevolezza dunque. È l’esperienza che ti forgia.
Credo comunque che, alla radice di tutto, ciò che alimenta il “sistema” è un profondo egoismo, menefreghismo e in generale una banale superficialità. Ecco perché le mafie trovano terreno fertile ovunque, da nord a sud. È la gente che rende la mafia importante, altrimenti nemmeno ne parleremmo, e di contro, non esisterebbe nemmeno questo libro.
Dobbiamo fare appello alle qualità determinanti del nostro essere umani, sensibilità, intelligenza e solidarietà. Se capiremo questo, tutto verrà da sé, inevitabilmente.
Pessimista? Direi di no, mi guardo dentro e mi chiedo cosa posso cambiare io intanto. Questo mi rende anzi profondamente ottimista, siciliano nel senso più autentico.

Francesco Niccolini e le disavventure di Enrico Mattei

Francesco Niccolini è drammaturgo e sceneggiatore, da molti anni studia e scrive per Marco Paolini e per molti altri attori e registi del teatro italiano. Collabora con Radio3 e con la Televisione Svizzera Italiana. Simone Cortesi è un talento emergente del fumetto indipendente italiano. Insieme hanno realizzato “Enrico Mattei, vita, disavventure e morte di un cavaliere solitario“, che abbiamo pubblicato da pochi giorni.

Vista la complessità della tematica, abbiamo pensato di chiedere a Francesco qualche delucidazione sul suo lavoro di ricostruzione a fumetti…

> Da dove nasce la necessità di scrivere un libro su Enrico Mattei?

Studio la storia di Mattei dal 1998, quando con Marco Paolini ci mettemmo a lavorare sui disastri della chimica a Porto Marghera. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con persone che lo conoscevano e, forse, con la persona che meglio di ogni altro sa cosa è successo il 27 ottobre 1962, ovvero Eugenio Cefis. Ho potuto consultare i materiali del PM Calia che dal 1995 ha riaperto l’inchiesta scoprendo le tracce della possibile esplosione, e di molte manovre di insabbiamento alterazione e cancellazione delle prove.
Tutto questo mi affascina e non mi passa la voglia di trovare modi di raccontare la sensazione di smarrimento di fronte a una vita assolutamente fuori da ogni norma, a una morte annunciata e a una delle più riuscite opere di cancellazione di ogni traccia di verità: a tutt’oggi io non saprei dire che ha ucciso Mattei e con quale preciso movente. La sensazione di impotenza che mi genera è una sorta di vertigine che mi ricorda la disperata necessità di questo Stato di affrancarsi dai poteri deviati e dagli interessi privati e stranieri come unica speranza per non affogare nella palude della propria corruzione.

> Sei abituato a muoverti tra diversi linguaggi, come mai sei arrivato anche al fumetto?

Ho raccontato Mattei in teatro, poi alla radio: una graphic novel mi permette cose diverse e soprattutto di raggiungere una diversa fascia di pubblico.

> Ci sono elementi di questa vicenda che non sei riuscito a inserire nel libro, ma che meriterebbero di essere approfonditi?

Una giornalista de “L’Espresso” mi ha rimproverato di non aver approfondito l’ambigua capacità di corruzione che Mattei applicava (e forse inventò) rispetto al sistema politico italiano. Probabilmente ha ragione. L’incorruttibile Mattei aveva la forza e il denaro per corrompere molti. Eppure continua a sembrarmi quasi irrilevante in un mondo di corrotti e corruttori, di interessi privati e di un uso improprio della cosa pubblica.

> Dopo questa prima esperienza tornerai a occuparti di fumetto? Hai già qualche idea?

Con BeccoGiallo stiamo lavorando a una graphic novel sulla tragedia del Vajont. La sceneggiatura è pronta e Duccio Boscoli, eccellente illustratore milanese, sta realizzando le tavole. Da qualche giorno poi ho un’idea nuova, ma è troppo presto per svelarla.

Le note dell’autore di “Paolo Borsellino, l’agenda rossa”

Verità, ipotesi, invenzioni. A distanza di vent’anni dalla strage di via D’Amelio, la verità giudiziaria sui mandanti occulti dell’eccidio è ancora tutta in discussione. È storia recente che il processo sull’uccisione di Borsellino e degli uomini della sua scorta ha subito un massiccio depistaggio ed è quindi da rifare.
In un quadro ancora indefinito c’è un’ipotesi che si accredita con più forza delle altre: Borsellino è stato ucciso perché era venuto a conoscenza della trattativa fra Stato e mafia, e vi si opponeva. Naturalmente in delitti di una certa portata non esiste mai un solo movente, e neanche un solo colpevole.

Nell’affrontare questo fumetto sugli ultimi due mesi di vita di Borsellino, prima di cominciare a scrivere, ho cercato a lungo di farmi un’idea su quanto è successo tra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio. A tale scopo, oltre a consultare la letteratura in materia, ho voluto incontrare alcuni tra amici, conoscenti, colleghi, parenti del giudice.
Nel mio sopralluogo di sceneggiatura a Palermo l’ultima persona con cui ho parlato è stato il giudice Teresi. La riflessione con la quale mi ha salutato il magistrato collega di Borsellino ha in qualche modo guidato il mio racconto. In risposta alle mie infinite domande sui mandanti della strage, Vittorio Teresi ha provato a spiegarmi che non è importante stabilire se il comando sia arrivato a Cosa Nostra da uomini dello Stato, dei servizi segreti o delle forze dell’ordine.

Non è rilevante se questa comunicazione sia avvenuta o meno. Ciò che bisogna chiedersi è chi aveva interesse a uccidere Borsellino. I vertici di Cosa Nostra non avevano bisogno di ricevere ordini. Era sufficiente la consapevolezza del consenso rispetto all’azione. Allargando questa riflessione a un perimetro più largo sentirei di dire che le colpe della morte di Borsellino vanno distribuite collettivamente tra chi aveva significativi interessi nella sua eliminazione e chi provava semplicemente insofferenza. A favorire la mafia sono le convergenze di interessi di una fetta del Paese troppo larga per individuare una manciata di capri espiatori.

A partire da questa convinzione ho immaginato di rappresentare Borsellino come un uomo isolato, circondato ovunque da zone grigie di rapporti tra le istituzioni e la mafia. Ho sposato l’ipotesi della trattativa come causa fondante della strage, ma ho suggerito che anche nella Procura e in Polizia c’erano comportamenti oscuri.

[…]

Nelle ultime settimane di vita Borsellino teneva due agende: su di una, quella grigia, annotava gli appuntamenti, mentre sull’altra, l’agenda rossa, scriveva tutto il resto. Borsellino non amava i diari. Prima di quel giugno del 1992 non aveva mai sentito l’esigenza di mettere nero su bianco né accadimenti né riflessioni.
La strage di Capaci però cambia ogni cosa. “Per me è finito il momento di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere, e qua dentro ce n’è anche per lei.” Così risponde Borsellino al maresciallo Canale che lo vede prendere appunti all’alba in un hotel di Salerno.

Giacomo Bendotti

Prosegue nel libro “Paolo Borsellino, l’agenda rossa“, in uscita l’11 luglio.

Mauro acchiappava notizie

Il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e l’Associazione Ilaria Alpi, come ogni anno, hanno indetto un concorso dedicato a un reporter vittima di mafia o terrorismo. Per il secondo anno di fila, un giornalista senza tesserino che ha pagato con la vita il suo impegno si è visto onorato dell’iniziativa. Dopo Peppino Impastato, stavolta è toccato a Mauro Rostagno. E per il secondo anno di fila ho avuto l’occasione di far parte della giuria (stavolta insieme a Maddalena Rostagno ed Enrico Deaglio) e di poter parlare di un vero mito del giornalismo davanti alla platea perugina. Giornalista irriverente e modernissimo, sociologo appassionato e innovativo, padre del ’68 italiano e dei centri sociali, Mauro è stato ammazzato dalla mafia a Trapani il 26 settembre 1988 per avere svelato le connessioni tra criminalità organizzata, massoneria e politica. Tra i tanti elaborati che sono stati valutati con attenzione dalla giuria, ci piace segnalarvi il breve ma emozionante video di Paolo Matteo Maggioni “Mauro acchiappava notizie”. Si tratta di un punto di vista originale e commovente sul tema del concorso, ossia raccontare la vita di Rostagno, che onora ed emoziona noi autori del fumetto Mauro Rostagno – Prove tecniche per un mondo migliore. Il documentario, su cui mi sono astenuto sentendomi parte in causa e troppo emotivamente coinvolto, ha vinto una menzione speciale.

Marco Rizzo

 

 

Domani si svolgerà il 28esimo (non avete letto male) appello del processo per l’omicidio Rostagno. Non dimentichiamocene.