Qualche settimana fa BeccoGiallo ha pubblicato la versione tradotta in italiano di “Rosalie Lightning”, il graphic memoir di Tom Hart candidato all’ Eisner Award.
Uno dei nostri autori più prolifici e colonna della casa editrice, Claudio Calia, è stato uno dei primi a leggere questo volume in versione tradotta.
Claudio ha talmente amato il libro che lo ha consigliato ad un’altra vecchia conoscenza di BeccoGiallo, Francesco Barilli.
Francesco ha talmente amato il libro che lo ha consigliato a tutti.
Quando Calia ha chiesto a Barilli cosa ne pensasse, lui ha risposto con la lettera che segue.
“Rosalie Lightning” di Tom Hart scontato del 15%
Barilli risponde a Calia
Mi chiedi di scrivere qualcosa su questo libro.
E lo farò, ma prendendola alla lontana.
Perché scriviamo? Si possono dare molte risposte, ma una sola secondo me è universalmente valida. Scriviamo perché la vita non ci basta. E allora cerchiamo qualcos’altro…
Guarda, pochi giorni fa ho scritto un racconto. Terminava con una bambina che muore fra le braccia di un pupazzo di neve. L’ho fatto leggere solo a un amico (disegnatore “dei nostri”, se m’intendi). Molto bello, m’ha detto. “Le immagini” ha aggiunto “sono già forti e misteriose e dare loro una forma precisa con il disegno mi pare equivalga a fermarle. Insomma, direi che il racconto funziona al meglio delle sue possibilità come prosa.”
Il racconto, insomma, non lo trasformerò in fumetto. E non l’ho pubblicato nemmeno sul mio blog. Magari, un giorno… Non so neppure cosa volevo dire e non voglio saperlo: “Ciò che l’anima comprende a volte fa paura”.
E qui vengo a Rosalie Lightning. Perché, tu lo sai, l’ultima frase virgolettata è lì che l’ho trovata.
(e tutto questo per dirti che quando mi hai proposto questo libro avevo questo strano stato d’animo per cui la lettura è stata una pugnalata).
Senti, non sto a dirti di presagi e altre cose. Razionalmente non ci credo, di solito è solo il cedere alla tentazione di esser stati profeti dell’altrui futuro e poter così pensare di poter indovinare anche il nostro. Ma non sempre è solo un’illusione. Perché anch’io ricordo il giorno in cui vidi negli occhi di mio padre il rimpianto per quel po’ di vita che avrebbe voluto vivere e che – sapeva – stava per essergli tolta. Era in ospedale. Sarà stato un mese prima di quel che hai capito. Era a letto, stava guardando una foto che gli avevo lasciato: lui assieme al mio primo figlio, l’unico nipote che avrebbe conosciuto. Ripose la foto sul comodino, si asciugò gli occhi con una mano, velocemente. Era un uomo “di una volta”, ex partigiano, poi poliziotto e poi ancora operaio tornitore (per un comunista è troppo difficile restare in polizia, diceva): uno così non piange, specie davanti al figlio maschio. Parlammo tranquillamente. Ricordo che bevve dell’acqua a collo dalla bottiglia, me ne offrì un bicchiere. Non gli dissi nulla di come l’avevo visto: bene così.
Adesso potrai alzare un sopracciglio pensando “sì, ma stai parlando di te…”. Alcuni hanno detto che lo faccio d’abitudine (parlare di me, intendo). Di solito rispondo sprezzante, da radical chic, che ogni scrittore in fondo parla di se stesso. Se è proprio bravo, riesce a non fartelo capire.
Ma a te voglio dire la verità: parlo di me – stavolta – per pudore. Perché non si commenta una cosa così, un dolore così (siccome non stiamo parlando solo fra noi: Rosalie Lightning è lo straziante libro di Tom Hart sulla morte improvvisa della figlia, di soli 2 anni nemmeno compiuti; c’è tutto un racconto, dentro, sul percorso suo e della moglie, fra dolore e tentativi di ripartire, fino a un cenno di speranza. E soprattutto c’è tanto amore, in questo fumetto. L’amore che, quello sì, tutti possono capire). Insomma, un libro del genere lo si legge, lo lasci lì a darti una rimestata nella viscere, ne consigli la lettura, poi taci.
Qui non c’è da dire: “capisco il tuo dolore”. Il dolore non lo si capisce, lo si vive, ognuno alla propria maniera. Quindi tutto il pippone su mio padre c’azzecca poco (che poi perdere un genitore o perdere un figlio son cose diverse; non stiamo neanche a spiegarlo, no?) se non per dire che quel grumo denso e nero che ti morde l’anima prima o poi lo sentiamo tutti, anche se ci appare in forme diverse, e – vagamente – possiamo dire (all’altro) di capire. E, sempre vagamente, di “capire di non poter capire”. Non fino in fondo, almeno. Non fino a dove nessuno vorrebbe arrivare.
Francesco “Baro”Barilli ha scritto per BeccoGiallo i volumi: “Piazza Fontana”, “Carlo Giuliani, il ribelle di Genova”, “Piazza della Loggia. Volume 1: Non è di maggio” e “Piazza della Loggia. Volume 2: In nome del popolo italiano”.
Ha inoltre curato i redazionali per i volumi: ”Ilaria Alpi, il prezzo della verità”, ”Dossier Genova G8”, ”Il delitto Pasolini”,”Peppino Impastato, un giullare contro la mafia”.
Questo è il blog di Barilli.